I'm still breathing

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  1. reiven
     
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    London_Wall_Street
    Andrea Soares Weber
    Nomade


    Cominciavo seriamente a pensare che la vita si divertisse moltissimo a prendermi per il culo, non c'era altra spiegazione possibile. Non solo era buio e non si vedeva un palmo dal naso, ma pioveva. Stava venendo giù dal cielo la fine del mondo. Un acquazzone così forte ed impervio che riduceva la visibilità al minimo indispensabile e questo non era un bene. Non vedere a questo modo equivaleva a morire. E come se le cose non potessero andare peggio di così, ero anche ferita.

    Stavo cercando un posto dove far rifornimento di ogni genere di vivere od utensile possibile. Ormai avevo compreso che la vita da accumulatore seriale potesse essere più utile di quanto non sembrasse. Quello che un tempo avresti considerato come oggetto inutile, ora appariva come la cosa più utile di questo mondo. Perfino una stampella aveva la sua utilità.
    Ero finita in una vecchia pompa di benzina. Vecchia non era, ma lo stato in cui giacevano i suoi resti faceva pensare ad un monumento della passata gloria della storia umana e, in un certo senso, era davvero così. Ormai dell'umanità erano rimaste poche misere manciate che si potevano definire carne viva. Il resto era carne putrida che andava in decomposizione sotto il sole e che ricercava il suo nutrimento nella carne umana, quella ancora viva. Puntualmente mi chiedevo come potessero essere vivi quei cadaveri ambulanti e ogni volta la mia conoscenza scientifica non trovava alcuna risposta plausibile che avesse senso. Non credevo che il galvanismo avesse improvvisamente preso vita attraverso quei corpi putrefacenti. Era stato chiaramente dimostrato che si, per quanto vero che un muscolo si contraesse grazie all'energia elettrica, essa non era comunque la fonte primaria dell'esistenza stessa. Erano le cellule la fonte primaria di vita. Era il loro duplicarsi e generare informazioni a decretare che un corpo fosse vivo oppure no. E questo pensiero mi faceva continuamente domandare: le cellule di quei esseri com'erano? Di sicuro erano morte, altrimenti come si spiegava il prulificare degli stati della decomposizione su quei cadaveri? E questo mi riportava al punto di partenza: com'era possibile che fossero vivi? La logica aveva perso ogni sua veridicità. Tutto quello che un tempo avrei decretato come vero ed inespugnabile, ora appariva solo come un palese miraggio dettato dal colpo di sole nel deserto. Qualunque fosse la ragione del perché i morti ora si ritrovavano in vita e non sotto terra a marcire era il più grande mistero di quella nuova era dell'umanità in cui ogni essere umano rimasto tale lottava per sopravvivere in quella terra impervia, in cui ogni risorsa dettava legge sulla vita o sulla morte. Ormai dominava un unica legge: quella del più forte. Chi era forte sopravviveva, chi era capace di adattarsi sopravviveva, chi era in grado di badare a se stesso sopravviveva, chi era ingegnoso sopravviveva. Alla fine era quella la parola chiave: sopravvivenza. E per riuscire a far si che essa fosse mantenuta si era disposti a tutto, anche ad uccidere altri esseri umani per mettere davanti i propri desideri e bisogni. Era questo che mi era capitato: incontrare due uomini che fossero disposti a tutto. Ora che le leggi della vita erano sovvertite anche la moralità aveva fatto la sua stessa fine. Non esisteva più bene o male. Esisteva solo: io. Contavi solo tu ed il resto era poco e niente. E io ero andata contro quell'egoismo finendo per inciampare su due uomini. Non immaginavo di fare un incontro del genere alla pompa di benzina. Volevo solo trovare qualcosa e andarmene di nuovo per i fatti miei, ma qualcuno lassù in cielo (se era davvero rimasto qualcuno) mi odiava davvero tanto perché mi fece incontrare due tizi non propriamente amichevoli. Preferivo decisamente i cadaveri ambulanti agli esseri umani. Perché? Erano primordiali, in un certo senso. Uccidevano per vivere, sempre se potessi definire quella loro esistenza vita. Non si uccidevano fra loro. Al massimo concorrevano fra loro per il cibo e questo era sempre stato così nel mondo animali. Fra gli uomini... beh... le cose cambiavano radicalmente. Forse era colpa della nostra evoluzione, non saprei. Tutto quello che sapevo era che non sempre le persone erano amichevoli e quelle che incontrai non lo erano di certo. Mi assalirono. Volevano derubarmi di tutto. Erano i soliti sciacalli che sbucavano fuori durante i momenti di crisi. Quei vermi schifosi che si dimenticavano che ci fossero problemi più gravi al di là del loro piccolo mondo, tipo la fine di quello che conoscevamo. Però a questo genere di persone non interessava niente di tutto ciò. Facevano come gli pareva. Facevano quello che era stato loro impedito di fare quando la società era ancora un meccanismo funzionate: il peggio del peggio. Ecco, io avevo incontrato due vermi di quella specie. Ovviamente non gli diedi la mia roba così a buon mercato. Vendetti cara la pelle riuscendo a vincere contro quella feccia, ma non senza danni. Ero ferita e essere feriti in quel nuovo scenario era come decretare morte certa.


    Quindi eccomi qua, in un maledetto granaio vecchio stile, in un soppalco, durante una tempesta, sperando che qualche bellissimo cadavere non fiutasse il mio sangue, mentre pregavo la mia buona stella di farmi morire in modo decente. La ferita sanguinava un po'. Avevo un taglio abbastanza profondo sull'addome. Ero riuscita a tamponare la ferita grazie agli indumenti rubati a quei due stronzi, ma sapevo che non sarebbe servito a molto. Dovevo trovare una soluzione prima di.. beh.. giocarci le penne. Quella provvisoria soluzione era la peggiore che potessi trovare. Rischiavo un infezione e di morire in pochi giorni fra atroci sofferenze. L'unica consolazione? Che almeno non sarei morta sentendo i denti di un cadavere sulla mia carne. Era l'unica cosa che mi facesse sentire meglio, mentre ero sdraiata sulla paglia fresca. Fra i tanti modi in cui potevo andarmene al creatore in quel nuovo mondo quello non era sicuramente il peggiore, anzi. Mi stava andando anche di lusso, in un certo senso. Era davvero così che finiva la mia vita? A quanto pareva si. Mi venne quasi da ridere. Trovavo quasi indegno morire così. Ma che mi lamentavo a fare? Poteva andarmi peggio. Anche se stavo morendo però una cosa era certa: i miei sensi erano vigili. Non avrei lasciato a nessun cadavere il piacere di mordere il mio corpo, neanche in punto di morte. Avevo accanto a me la mia fedele katana, pronta in caso di bisogno. I vaganti non sapevano salire le scale e, con premura, mi ero imposta di togliere la scaletta che portava al soppalco. La sicurezza non era mai troppa. Però questo non mi faceva comunque sentire al sicuro. La troppa sicurezza era sinonimo di morte, ormai lo avevo capito. Ecco perché anche se stavo soffrendo come un cane moribondo ero ancora vigile: non volevo consegnarmi alle fauci di nessun cadavere ambulante così a buon mercato.

     
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  2. Moira Ledet
     
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    Moira Ledet


    Da quando la macchina di Cordell ha deciso di mollarci pochi metri dentro il confine della città le cose non sono andate di certo bene, non essere da soli è una consolazione, certo, ma la situazione resta comunque parecchio sconfortante, speravamo di poter trovare un rimpiazzo in fretta e poter quindi ripartire velocemente ma le cose non sono andate proprio come speravamo, e quindi eccoci qui, bloccati in una piccola cittadina sconosciuta ad entrambi con le provviste e le munizioni in drammatico calo. Alexander è spesso fuori in cerca di viveri ma non conoscendo bene la città, ed essendo quindi costretto a vagare senza meta, le sue ricerche si rivelano spesso infruttuose o comunque dai risultati piuttosto miseri per poter sfamare due persone adulte. Ho cercato, con discrezione, di propinargli le porzioni più sostanziose ma se ne è accorto piuttosto in fretta e dopo un’accesa discussione siamo tornati ad una “equa” distribuzione, la cosa non mi ha lasciato per nulla contenta, essendo quello che fa più sforzi fisici sarebbe logico che fosse lui ad avere le razioni più caloriche, ma avete mai provato a discutere con un texano intestardito? Sarebbe più fruttuoso prendere a testate un muro sperando che si rompa; comunque sia tra pochi giorni saremo costretti a razionare le razioni se la nostra sorte non gira e a quel punto sì che saranno guai. Ovviamente ad aggravare la nostra già precaria posizione si aggiunge il fatto che dovendosi spostare in città gli scontri coi vaganti sono all’ordine del giorno, il mio compagno è stato fortunato a non essere rimasto ferito in questi giorni ma la fortuna non dura in eterno ed io preferirei poter lasciare la città al più presto prima di ritrovarci, affamati e disarmati, sommersi da un orda di cadaveri semoventi.

    Oggi sono riuscita a convincerlo a rimanere nel nostro rifugio ed a lasciar uscire me, mi ci è voluto non poco a convincerlo ma alla fine si è dovuto arrendere alla mia logica e alla sua stanchezza, io sono più in forze di lui e l’essere stata costretta a rimanere di guardia mi ha permesso di conservare energie preziose, tanto più che, come gli ho fatto presto notare, non sono solo i viveri di cui abbiamo bisogno. Anche le mie scorte mediche hanno preso un duro colpo, molti dei posti che abbiamo visitato erano già stati completamente depredati e non sono riuscita a rifornirmi come avrei voluto, tanto più che alcuni dei flaconi che ci sono rimasti si stanno avvicinando pericolosamente alla data di scadenza e la cosa mi mette ansia, essendo quella con più conoscenze in questo campo è più sensato che sia io a darmi da fare, dato che so rendermi conto più velocemente di cosa potrebbe risultare utile in futuro e cosa è meglio lasciare indietro. Dopo aver vinto l’ardua lotta ho svuotato il mio zaino, nella migliore delle ipotesi sarei ritornata carica di provviste mentre nella peggiore almeno avrei viaggiato leggera, e l’ho riempito con lo stretto necessario; alla fine ho deciso di portare con me solo una borraccia, alcune gallette, la torcia e il mio kit di emergenza.

    Quando uscì il sole avrebbe dovuto essere alto nel cielo ma la luce scarseggiava, scoprì presto perché, sulla mia testa si stavano accumulando nuvoloni grigi a formare una cortina da cui i raggi del sole passavano a fatica, anche il meteo non prometteva bene. Dove dirigersi? Per un attimo mi guardai attorno con non poco sconforto, alla fine fu la mia situazione a scegliere per me, con soli cinque colpi in canna addentrarsi in città sarebbe stato un suicidio tattico, tanto più che al primo sparo i vaganti mi sarebbe arrivati addosso a frotte attirati dal suono, meglio provare le zone di periferia e le stradine di campagna, la minor densità di popolazione mi avrebbe assicurato una minor probabilità di fare incontri spiacevoli, anche se ovviamente il fatto che questi cosi schifosi tendano a non rimanere fissi in una zona mandava sistematicamente tutti i miei calcoli a farsi benedire. Non so bene dire per quanto io abbia camminato, macinai metri di buona lena seguendo una linea retta per poter ritrovare la strada con facilità cambiando di poco il mio percorso solo ogni qualvolta sentissi rumori sospetti, ma con mia somma gioia non feci brutti incontri e presto mi lasciai alle spalle gli edifici della periferia, che si facevano sempre più sparsi attorno a me, per ritrovarmi in una zona di campi che un tempo erano stati coltivati, il sole non poteva essermi di grande, aiuto coperto com’era dalla nubi che si facevano sempre più scure all’orizzonte, tuttavia dalla qualità della luce azzardai potesse essere pomeriggio inoltrato. Nonostante la molta strada fatta il mio bottino era magro, gli edifici che avevo perlustrato lungo il mio percorso portavano il segno di essere stati saccheggiati già da molto tempo, il cibo che rimaneva, marcio da un bel po’, doveva essere stato lasciato lì molto tempo addietro perché ritenuto troppo deperibile e di medicinali da banco neanche l’ombra; ero riuscita a trovare solo un paio di scatole di integratori generici, inutili ma almeno ci avrebbero tenuto un po’ su nonostante la nostra dieta sbilanciata.

    Avendo ancora qualche ora di luce a mia disposizione decisi di avviarmi lungo una strada sterrata piuttosto larga che si snodava attraverso una macchia di alberi e sembrava condurre attraverso i campi, speravo di trovare qualcosa che fosse cresciuta spontanea, nonostante l’inverno, grazie alle vecchie sementi abbandonate o magari di imbattermi in qualche mini-market che serviva la comunità agricola della zona. Dopo un paio d’ore di marcia anche questa mia idea si rivelò fallace, ero pronta a tornare indietro, dato che il sole sembrava in procinto di tramontare, quando, con solo alcune gocce di preavviso, le cataratte del cielo si aprirono all’improvviso rovesciandomi addosso quelli che sembravano litri di pioggia. Che fare? Tornare indietro con la visibilità ridotta al minimo ed il rischio concreto di una broncopolmonite? Per non parlare dei vaganti che non avrei né visto né sentito arrivare e da cui, nel fango, mi sarebbe stato difficoltoso fuggire. Ma che alternative avevo? Non potevo certo passare la notte all’addiaccio durante una tempesta. Non ne avevo fatta una giusta oggi, pensai con rabbia mentre, fradicia ed intirizzita, mi risolvevo ad incamminarmi per un lungo e impervio viaggio di ritorno quando con la coda dell’occhio notai tra la nebbiolina quella che poteva essere la mia fonte di salvezza. A poco più di un centinaio di metri di distanza si ergeva un grosso silos e meno distinte attorno ad esso si potevano scorgere le sagome di altre costruzioni, avevo trovato una fattoria! Corsi subito a cercare riparo.

    Quando mi ritrovai a pochi metri dal silos potei vedere chiaramente altri fabbricati in legno, stalle e granai in tutta probabilità, e più distante ancora un casa su due piani che doveva essere stata l’abitazione dei proprietari della azienda agricola. All’inizio il mio istinto fu quello di dirigermi direttamente verso la costruzione principale, il pensiero di poter trovare vestiti, cibo ed un caminetto che mi tirava come una calamita, poi però mi arrestai di botto. C’era la concreta possibilità che mi sarei dovuta scontrare contro i proprietari trasformati in vaganti, al buio ed in un edificio di cui non conoscevo la pianta, o peggio con altri sopravvissuti, ed inoltre la mia pistola era non solo semiscarica ma adesso anche zuppa d’acqua, non era un buon piano per nulla. Era anche vero che non potevo rimanere lì come uno stoccafisso a prendere acqua mentre decidevo il da farsi, così, dopo aver dato un occhiata incerta alle strutture attorno a me, mi avviai verso quello che sembrava essere il granaio. Di solito in posti come quello si trovano roncole, falci e forconi ottime come armi difensive, silenziose e che non necessitano di munizioni. Lottai un attimo con il mio zaino e riuscì a tirare fuori la torcia mentre con la mano sinistra tirai fuori la pistola dalla tasca dei pantaloni per poi con entrambe le mani spingere le porte di legno ad aprirsi. Feci subito un passo indietro e accesi svelta la torcia puntandola all’interno del fienile per fare un sopralluogo visivo, non sembrava esserci nulla di strano a primo acchito e nell’aria si sentiva solo l’odore della paglia e non quello di morto tipico dei vaganti. Rassicurata, entrai e mi richiusi la porta alle spalle, tirando il pesante chiavistello per sprangarla alla meno peggio contro il vento che intanto si faceva mano a mano più forte.
     
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  3. reiven
     
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    London_Wall_Street
    Andrea Soares Weber
    Nomade


    Ero lì, distesa su quella morbida paglia. Ne sentivo l'odore. Era particolare. Era un profumo alla quale non ero abituata. Non lo ero mai stata, neanche prima di tutto quell'apocalisse. Prima di quel caos vivevo in città. Ero abituata ai suoni ed ai profumi di una grande metropoli, che non era molto salutare. Ero circondata da ogni sorta di inquinamento, ma non mi era mai dispiaciuto, anzi. Ora quasi mi ritrovavo a rimpiangere il suono delle ruote delle macchine che scorrevano lungo l'asfalto al di là della finestra della mia camera, o il clacson molto sensibile di un autista nervoso, o la voce stizzita di qualche passante furente. Erano tutte piccole cose, forse insignificanti, ma che sapevano di normalità; la stessa normalità che percepivo che mi mancava in quella nuova terra desolata. L'unica cosa che si sentiva era il silenzio e ben presto eri costretto ad imparare ad amarlo, perché nell'esatto istante in cui sentivi un suono sapevi di non essere solo e questo non era mai un buon segno. Significava che c'era altro oltre a te e molto spesso quell'altro non era vivo e ciò significava che dovevi lottare per quella vita alla quale ti eri disperatamente aggrappato fino ad allora. Imparavi a temere il rumore. Era sempre sinonimo di sventura e di morte. Ecco perché ero ben felice di sentire soltanto il suono della pioggia che batteva con violenza contro il legno del soffitto di quel granaio. Forse non avrei dovuto rallegrarmi in quel modo. Quell'incessante battere in modo quasi ritmico non mi aiutava a distinguere i suoni più tenui, che erano avvisaglie di possibili vaganti nei paraggi. Però mi sentivo al sicuro lassù, nel sottopalco. Non c'era modo di salire. Ero isolata. Non c'erano morti lassù. Solo io e la paglia e questo mi rincuorava moltissimo. Potevo rilassarmi e morire in pace. Fra tutti i scenari di morte che avevo immaginato, quello non rientrava tra i possibili a cui avevo pensato. Eppure non riuscivo totalmente a lamentarmi di quella misera fine. L'idea di sentire i denti di un vagante suelle mie carni era decisamente qualcosa di ben peggiore della fine a cui stavo andando incontro. Alla fine quello che stavo vivendo non era così male. Mi faceva male respirare. Ogni volta che lasciavo che l'aria entrasse nei miei polmoni, l'estensione dei tessuti della mia carne mi provocava fitte insopportabili. Per disperazione ero arrivata a trattenere l'aria il più a lungo possibile, solo per evitare di inspirare ancora e provare nuovo dolore, ma sapevo che quella non era una soluzione. Non ero di certo un capodoglio che poteva trattenere l'aria per un ora. Si e no ci riuscivo per un minuto e per me era già tanto. Sapevo che non avrei potuto continuare in quel modo, ma non avevo altre soluzioni possibili. Era come se ogni mio ragionamento si fosse annullato, vaporizzato nel nulla e non sapevo se la colpa fosse del dolore che mi bloccava le sinapsi o chi sa quale genietto del male che aveva deciso di rubarmi tutti i possibili ragionamenti proprio nel momento sbagliato. Fu allora che un fascio di luce improvviso mi distrasse e subito dopo sentì una porta chiudersi ed essere bloccato. Il sangue nelle vene mi si congelò all'istante. Ero certa che non fosse uno dei cadaveri ambulanti. Non erano ancora giunti all'evoluzione dell'utilizzo degli utensili, di questo ne ero più che certa. Quindi era da escludere uno di quei mostri. Poteva significare solo una cosa: un altro essere umano. Il problema era: era ostile o un amico? Nelle attuali condizioni in cui giacevo l'incontro con un'altra persona era la cosa peggiore che mi potesse capitare. In quello nuovo scenario avevo capito che fidarsi era bene, ma non fidarsi era meglio. Chiunque poteva tradirti. Chiunque poteva usarti. Non c'era più l'etica o la moralità a guidare lo spirito delle persone. C'erano solo i beghi desideri dettati dalla sopravvivenza che regnavano sovrani. Con non poca fatica scivolai lungo le assi di legno per osservare dal mio angolo nascosto chi fosse il nuovo arrivato. Volevo provare a capire un minimo con chi avessi a che fare. Da quel poco che potevo vedere - ed era decisamente scarsa la visibilità - era una donna. Una cosa buona? Si, relativamente si. Non rischiavo lo stupro. Nota negativa? Era armata. Vedevo bene l'ombra di una pistola vicino alla luce. Però fuori stava piovendo, quindi era probabile che le cartucce fossero bagnate. Avevo due possibilità in quella situazione: o la ignoravo e morivo da sola senza che lei se ne accorgesse o mi facevo aiutare da lei, sperando che avesse qualcosa di utile. La secondo opzione era quella che decisamente mi allettava di meno, ma una fitta al quanto dolorosa all'addome mi ricordò per quale ragione fosse anche la migliore: ero ferita. Presi un respiro profondo. Quello che stavo per fare non mi piaceva affatto. Mi stavo buttando nel vuoto senza sapere dove sarei finita e temevo che mi sarei sfraccellata al suolo se avessi richiamato l'attenzione di quella donna, ma non avevo altre scelte possibili. La sopravvivenza prima di tutto.
    Ehi tu - la chiamai con più voce avessi in corpo. Non avevo mai avuto una voce possente. Non mi ero mai piaciuto urlare e di certo farlo ora non mi entusiasmava. Speravo solo che mi sentisse lei e non qualcuna di quelle orribili creature. Sali - aggiunsi ancora, mentre le porgevo le scale che avevo tirato su poco prima. Non fu facile far scendere le scalette. Sentì chiaramente altre fitte di dolore all'addome. Speravo solo che quel sofferente sforzo valesse le candele.

     
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