Rise of the black courtain.

Arkadiya

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  1. Xavier.
     
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    Un ultimo singhiozzo affannato segna la resa totale del massiccio Land Rover Evoque, uno degli ultimi ancora funzionanti, che abbandona adesso le grosse ruote nella fanghiglia umida di un asfalto vecchio e consunto.
    “...Fanculo.” La prima imprecazione che impregna l'aria tersa dell'abitacolo è quella di Andrew Wilson, il più giovane dei tre, il chimico, nonché il più impaziente ed impulsivo. A mo' di eco si accoda lo sbuffo secco di Marcus Leighton, il biologo, mentre Xavier Donovan, quello che sembra restare il più calmo del gruppo nonostante l'inesorabile precipitare della fortuna, si limita ad abbassare stancamente le palpebre sull'ennesimo sgambetto di una sorte beffarda.
    “Sta' calmo, Andy. Dev'essere saltato un fusibile, scendo a dare un'occhiata.”
    La mano nervosa e ancora tinta dell'oro della fede nuziale si avvicina alla maniglia della portiera, ma si blocca nell'istante stesso in cui un rantolo soffocato dall'esterno ruba l'attenzione di tutti e tre.
    È a pochi passi da loro, Xavier rintraccia la sua figura caracollante attraverso il rifletto dello specchietto retrovisore. Sembra da solo, ma tutto il baccano che produrrà una volta giunto alla macchina attirerà quasi sicuramente dell'altra compagnia.
    Marcus è in ginocchio sul sedile posteriore, osserva la scena dal vetro del portabagagli e come al solito tiene per sé tutti i commenti catastrofici che certamente gli si stanno riversando nella coscienza. Andrew, invece, il catastrofismo non sa proprio gestirlo, così continua a ruotare convulsamente la chiave nel quadro azzardando gli ultimi tentativi disperati di ripartenza.
    “Piantala, stai facendo più casino di lui! Dobbiamo occuparcene prima che ne arrivino altri, poi potrò riparare il motore.”
    Non ama rivolgersi con quella severità ai suoi compagni, quando è in procinto di farlo riesce quasi sempre ad ingoiare l'amaro e zittire gli impulsi, ma detesta la mancanza di controllo almeno quanto gli imprevisti di quel genere, e Andrew la mancanza di controllo sembra spararsela nelle vene insieme ai vaccini settimanali.
    Uno scatto e lo sportello si spalanca, liberando la strada alla figura asciutta di Donovan, che a lunghe falcate aggira l'auto per raggiungere il corpo putrefatto dallo sguardo vitreo che continua a trascinarsi verso di loro.
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    Non esita quando estrae il coltello a serramanico dalla fodera sulla cinta, e il suo volto resta imperturbabile anche quando la lama scatta ad affondare nel cranio decomposto, esattamente in mezzo agli occhi vitrei, appesantendo la presa sull'arma per via del corpo adesso davvero morto per sempre.
    È finita, si dice, e il cervello già si proietta verso le competenze meccaniche con le quali conta di rimettere in sesto il veicolo al più presto, ma il tremendo grido straziato che gli giunge alle orecchie solo un istante dopo riesce ad inchiodarlo in un'allerta improvvisa e agghiacciata.
    Marcus.
    Estrae con uno strattone il coltello dalla testa che ha penetrato ed è rapido a voltare il busto verso il punto da cui è giunto quell'orrido grido, lasciandosi stordire per il tempo di un solo secondo dalla vista dello scenario che si staglia davanti ai suoi occhi.
    Devono essere sbucati dai boschi ai lati della strada, pensa, non c'è altra spiegazione alla comparsa inaspettata di quella piccola mandria che ha letteralmente accerchiato il veicolo.
    L'urlo è davvero arrivato da Marcus, il quale è adesso impegnato a scrollarsi di dosso il vagante che è riuscito a morderlo al costato. La chiazza rossa si espande rapida sui suoi vestiti, lo sguardo di Xavier ne segue i contorni con la tremenda consapevolezza di chi conosce troppo bene l'anatomia per illudersi.
    “Sono ovunque, cazzo!” È di nuovo Andrew, che dal basso dell'ovvietà non riesce a risparmiare il fiato neanche adesso che la tragedia sembra restringere addosso a loro le proprie pareti velenose.
    Xavier scatta in avanti prima che una femmina possa raggiungerlo alle spalle, la pugnala alla nuca, abbandona il suo corpo a terra, e passa poi al successivo, e a quello dopo ancora.
    Non parla, non pensa, reagisce solo meccanicamente all'abbattimento di ciò che non si fa mai scrupoli ad abbattere i suoi.
    Rifugge la tentazione di imbracciare il fucile d'assalto che giace a tracolla sulla sua schiena, consapevole come gli altri due che gli spari non farebbero che peggiorare la già precaria situazione, e ripiega ogni goccia di concentrazione affinché il pensiero del morso di Marcus non gli annebbi la lucidità.
    Hanno giurato. Tutti hanno giurato. Nessuna morte sarà sprecata, ognuna contribuirà in qualche modo alla scienza prima di spegnersi del tutto: Marcus deve fare ritorno al CDC prima di chiudere definitivamente gli occhi sulla vita, è questo che recita il patto sigillato all'inizio di tutto. Nessuno meglio di loro conosce il valore dei campioni freschi e ancora in via di transizione: abbandonarsi al buio eterno proprio adesso significherebbe sbeffeggiare tutti i progressi fatti fino a quel momento. E lui non può, nessuno di loro può permettersi una tale blasfemia.
    Quanto può considerarsi vile un simile cinismo nei confronti dell'uomo con cui per mesi interi si è condivisa la resistenza?
    Marcus morirà, ma nella mente guizzante di Xavier è appena divenuto nient'altro che un campione fresco da far arrivare in laboratorio prima che la transizione si spinga troppo oltre. Abbatte i vaganti che lo accerchiano per proteggere il lavoro, lo salva da altri attacchi solo perché lui sul suo corpo mutante ha davvero intenzione di sperimentare i nuovi test.
    Non sa dire quanti ne mancano, ma continua a muoversi attraverso i corpi ringhianti assestando calci e trapassando crani come se quella fosse l'ultima vera missione di tutta un'esistenza.


    Edited by Xavier. - 25/1/2016, 22:04
     
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  2. Arkadiya-
     
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    Anastasia Udinov aveva 34 anni.
    Era una donna forte, resa dura come la pietra dalla perdita ma ancora incapace di lasciarsi alle spalle il proprio lato umano, sempre pronta ad aiutare i membri della propria comunità.
    Come una bambina presa in adozione, tentava in ogni modo di compiacere la sua nuova famiglia. Stava lentamente guarendo dalle ferite della sua anima e sì, aveva forse trovato un uomo che rendesse la sua vita meno vuota e le sue notti meno fredde.
    Per i corridoi vuoti della metropolitana in disuso si vociferava che tra lei e Carl Craige l'amicizia si fosse spinta ben oltre un semplice bisogno di compagnia.
    L'unico ricordo della sua famiglia era racchiuso in una foto dai contorni ormai consumati al cui centro il volto di un bambino dava bella mostra di sé, aprendosi in un sorriso spensierato.
    Aveva amato suo figlio Gregory con ogni grammo della propria anima, ma questo non aveva impedito all'epidemia di strapparle dalle braccia il suo corpo ancora troppo piccolo, insieme a quello più maturo di suo marito Anthony. Qualcuno l'aveva trovata mentre vagava tra i boschi, ormai disidratata e da giorni a digiuno, armata solo di un coltello da cucina ricoperto di sangue secco e materia cerebrale.
    Nulla di quell'essere umano tremante e scheletrico rimaneva nella donna che, al volante di una macchina con il serbatoio pieno di benzina, avanzava per la strada deserta.
    Era in ricognizione da giorni e le scorte di cibo iniziavano a scarseggiare. La stanchezza cerchiava i grandi occhi con un alone scuro che sembrava renderli ancor più chiari ed innocenti del solito... eppure, sapeva bene che non avrebbe fatto ritorno a Nashville, non prima di aver trovato i medicinali di cui il suo gruppo aveva disperato bisogno.
    Il figlio di Mathilde, quella che era diventata senza ombra di dubbio la sua migliore amica, aveva da diversi giorni un'infezione all'orecchio che sembrava destinata a peggiorare. Anastasia continuava a ripetersi che non avrebbe lasciato morire un altro bambino e continuava le proprie ricerche senza alcuna tregua.
    Quando i rumori di uno scontro arrivarono a lei, era in marcia da ormai quattro giorni e camminava per i boschi cercando di fare attenzione ad ogni movimento, spaventata alla sola idea di dover affrontare da sola uno o più vaganti. Le urla la sorpresero nel bel mezzo di un passo, lasciando il piede sospeso in aria per qualche secondo di troppo. La scelta migliore sarebbe stata di certo quella che l'avrebbe portata a voltarsi e scappare nella direzione opposta, ma la sua coscienza non le avrebbe mai permesso di abbandonare altri sopravvissuti. Quante volte era stata rimproverata per il suo altruismo? Forse non abbastanza.
    Il corpo femminile scattò in avanti, portandola nel bel mezzo dello scontro sanguinolento.
    Con il pugnale ben stretto nella mano destra abbatté diversi vaganti prima di scontrarsi con un corpo ancora caldo e dall'aspetto affatto putrefatto.
    Quando la schiena andò a scontrarsi con il torace ampio di un uomo dai lunghi capelli biondi, il volto maturo cercò uno sguardo umano nel quale potersi rifugiare per un solo battito di ciglia.
    Sono troppi! Seguitemi, la mia macchina è nascosta qui vicino.

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    Era la prima occasione che avevo da diversi mesi per allontanarmi dal gruppo senza che qualcuno tentasse di seguirmi. Finalmente sola, avrei avuto la possibilità di controllare la strada verso Washington e pensare ad un piano per interrompere quella pausa forzata nella quale mi ero ritrovata incastrata. Persino Carl aveva lasciato che prendessi una macchina per quella missione solitaria. Non aveva detto una parola, forse sicuro del fatto che la morte di un altro bambino avrebbe finito con l'allontanarmi da lui e dal resto dei sopravvissuti di Nashville. Per non deluderlo, avevo passato le ore precedenti la partenza a fissare la foto di un bambino che non avevo mai conosciuto, recuperata da una macchina inutilizzabile ed abbandonata nel folto di un bosco che mi era parso infinito. Davanti a quel volto tondeggiante ed anonimo mi ero sforzata di versare qualche lacrima e, quando finalmente la macchina era stata dichiarata pronta, mi ero assicurata di non aver lasciato quell'inutile rettangolo sbiadito da qualche parte.
    Il silenzio che aveva accompagnato le mie giornate era stato come un balsamo caldo e rilassante sui nervi troppo tesi. Non avevo fatto altro che guidare, lasciando che il vento entrasse dal finestrino aperto a scompigliarmi i capelli. La mappa aperta sul sedile accanto a me si era andata riempiendo man mano di annotazioni su possibili rifugi da usare come nascondigli e su percorsi alternativi da poter usare in caso di bisogno. In caso qualcuno di Nashville avesse deciso di mettersi sulle mie tracce.
    Dopo tre giorni, il confine era ormai a soli pochi chilometri lungo la strada del tutto deserta.
    In cerca dell'ennesimo rifugio mi ero addentrata nel bosco, il pugnale ben stretto nella mano destra e lo sguardo fisso sul terreno irregolare per evitare di inciampare in qualche radice, ma un rumore aveva attirato con prepotenza la mia attenzione. Urla umane.
    Ancora nascosta tra gli alberi mi ero avvicinata al punto in cui la tragedia andava consumandosi. Ero stata costretta ad accovacciarmi dietro un tronco caduto sul terreno per poter osservare meglio quello che inizialmente il mio cervello semplicemente si rifiutò di accettare.
    Non avevo mai creduto alla fortuna prima di quel giorno, ma insomma, quante possibilità esistevano che davanti ai miei occhi spuntasse dal nulla un furgone con sulla fiancata un simbolo enorme di uno dei più famosi ospedali universitari di Washington?
    Era un'occasione che non mi sarei lasciata sfuggire per nessuna ragione al mondo, ma dovevo agire in fretta per non vederla sfumare miseramente davanti ai miei occhi. I vaganti avevano già affondato i loro denti putridi nella carne morbida di uno dei tre uomini, ne rimanevano solo altri due e non avevo alcuna intenzione di lasciarli morire. No, avevo bisogno di loro per avanzare di un passo verso il compimento della mia missione.
    Non fu difficile farsi largo fino al biondo, affiancandolo in quella battaglia destinata alla sconfitta.
    Sono troppi! Seguitemi, la mia macchina è nascosta qui vicino.
     
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  3. Xavier.
     
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    La classificazione soggettiva del centro di ricerche di Washington ha rilegato i vaganti ad un punto appena superiore alla metà. Un modesto sei e mezzo su una scala decimale, praticamente, segno che queste creature – ancora tuttavia prive di un autentica definizione scientifica – non possiedono abbastanza elementi a proprio vantaggio da potersi appropriare dell'etichetta rossa allertante sul pericolo assoluto.
    In altre parole, stando ai pareri clinici dei ricercatori operanti a D.C., imbattersi in un cadavere rianimato non costituisce alcun azzardo per l'umano in questione. L'unica cosa, a tutti gli effetti, che rende letale l'incontro con un non-morto, è la tipica superiorità numerica di questi ultimi. Un putrefatto è ignorabile, battibile, vincibile, ma un'orda di putrefatti è quasi sempre indiscutibilmente mortale.
    Questo è uno dei motivi per cui nella comunità è stato proibito – o almeno fortemente sconsigliato – di girovagare fuori dalle mura protettive in solitaria. È il caso di muoversi sempre almeno accompagnati da una seconda persona, utile se non altro a chiedere aiuto in tempo talora si fossero verificati incidenti come quello in cui si sta battendo Xavier proprio in questo momento.
    Agile dietro al suo coltello, annienta sistemi nervosi come fosse il meccanico di un grosso centro di controllo, taglia teste e spegne istinti, si pone come un Dio al di sopra della natura e lotta per la propria sopravvivenza proprio come il vecchio Darwin invita a fare. Eppure, alla fine di tutto, loro sono sempre di più, sempre più instancabili, sempre più entusiasti.
    L'impatto col corpo incredibilmente caldo ed esile lo destabilizza il tempo necessario ad abbassare la guardia sui corpi che lo accerchiano. È inevitabile almeno quanto lo è posare le iridi di cristallo sul viso morbido della donna letteralmente comparsa dal nulla.
    È altresì istintivo controllare le condizioni di Wilson e Leighton, le intrusioni di questo genere non sono mai gradite da queste parti, ma quando il quadro della situazione gli si dipinge in sfumature più chiare nella mente la risposta ad ogni interrogativo converge rapida verso un unico assenso.
    “Da questa parte! Prendi Marcus, ce ne andiamo!”
    Le direttiva sono rivolte ad Andrew, ovviamente, quasi come se la donna di fronte a sé abbia appena perso il proprio spessore fino a divenire invisibile.
    Le mani allentano la presa sulle spalle minute alle quali hanno attutito l'urto, scivolano via da una pelle vellutata che da troppo tempo non hanno avuto occasione di sfiorare, e il cervello torna in un solo istante pronto allo scontro.
    Altri due cadaveri cadono ai suoi fianchi dopo che la lama li ha trafitti in mezzo agli occhi, e così facendo spianano la strada a Xavier e alla sconosciuta salvatrice, seguiti adesso da Andrew che sostiene il barcollante Marcus già in via di dipartita.
    Il conteggio dei rischi è stupido, ma necessario. Donovan lo stila mentalmente nell'arco di cinque o sei secondi mentre corrono alla meta, e dopo uno sguardo d'intesa col collega ancora lucido sigilla la decisione. Va fatto ciò che va fatto.
    Sono usciti dalla mandria, o almeno cominciano a lasciarsela alle spalle, la macchina è ormai vicina e con un po' di fortuna tutto filerà finalmente liscio.
    “Ferma. Non fare un solo altro passo.”
    Tutto ciò che va fatto.
    Un attimo prima di rivolgerle quelle parole, Xavier ha fatto scivolare il fucile tra le proprie braccia, sostituendo così il coltello con una minaccia più massiccia. La canna punta dritta fra le scapole di lei, bersaglio che muterà se lei sceglierà di voltarsi, arrivando a mirare in mezzo ai seni proprio sul punto esatto dello sterno in cui solo un medico sa riconoscere un cuore pulsante.
    “Lascia le chiavi sul cofano e passa allo sportello del passeggero. Forza, sali. Svelta.”
    La voce è ferma, controllata, eppure inflessibile e severa. Il tono ricorda la stessa sfumatura che possiede chi è abituato all'obbedienza, chi sa di impugnare il coltello dalla parte giusta, chi è consapevole di aver appena messo in trappola la cavia su cui eseguirà i più terribili esperimenti.
    Andrew guiderà, Xavier salirà sul sedile posteriore per mantenere la minaccia armata contro di lei, e Leighton con un po' di incoraggiamento stringerà i denti e terrà duro fino al centro di Washington.
    Donovan conosce bene la legge, e un tempo ha avuto famigliarità persino con l'etica, per quanto incredibile possa sembrare. Ma adesso è tutto perduto.
    Loro hanno solo bisogno di una macchina per tornare a casa, Marcus necessità di cure che rallentino la sua morte, e in questo preciso momento la sconosciuta non è altro che uno strumento. Prezioso e importantissimo, ma pur sempre uno strumento.


    Edited by Xavier. - 25/1/2016, 22:11
     
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  4. Arkadiya-
     
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    Anna Achmatova aveva 38 anni.
    Per una vita intera era stata una studentessa modello e nella vita adulta aveva finito con l'anteporre al sogno di avere una famiglia, quello di avere una carriera che la portasse ad essere la migliore nel suo campo. Era stata un piccolo genio, poi una brillante scienziata... e prima che l'epidemia rovinasse ogni angolo del mondo era stata così vicina a prendere un premio Nobel da non riuscire ancora a dimenticare quella disfatta. Quel fallimento era la sua cicatrice, il suo sogno mancato per colpa un soffio di vento che l'aveva spinta nuovamente verso il basso.
    Nella vita aveva finito con il circondarsi di persone in grado di ammirare la sua intelligenza, piuttosto che la sua bellezza fuori dall'ordinario. Non era un caso che alla fine avesse sposato un chimico di diversi anni più grande di lei, il più stimato nella comunità scientifica russa.
    Quando il mondo aveva trovato la sua fine, il compito di trovare una cura era ricaduto sulle sue spalle minute come una frana imprevista. Non importava quanti altri scienziati lavorassero per raggiungere il suo medesimo obiettivo: per lei non esisteva altro che il proprio lavoro, costellato in egual misura di fallimenti e successi.
    Non doveva essere stata una semplice coincidenza quella che la portò ad essere la candidata più appetibile da far viaggiare fino a Washington per poter collaborare con le menti più brillanti che l'oceano separava dalla sua madre patria. Forse qualcuno aveva finito con il notare la determinazione che brillava negli occhi grandi ed ammalianti.
    Diversi mesi prima di quel giorno nella foresta era salita su un aereo che l'aveva catapultata in un inferno che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.
    Atterrata nei pressi di Nashville, aveva scoperto che nessuna scorta era in sua attesa, pronta a scortarla fino alla capitale. Sangue e resti di corpi dilaniati erano le uniche cose che i suoi occhi riuscirono ad incontrare quel giorno, ma la cosa più terrificante era di certo quel rumore. Ringhiavano come cani rabbiosi, quelli che un tempo erano stati uomini e donne.
    Anna aveva capito nel giro di pochi minuti che non sarebbe mai riuscita ad arrivare a Washington ed aveva elaborato un semplice piano per sopravvivere: trovare un gruppo al quale unirsi, fingendosi qualcuno che non era mai stata al solo scopo di preservare la segretezza della missione che le era stata assegnata. Così era nata Anastasia Udinov, la donna che salvò due uomini da una piccola mandria di vaganti, in un bosco uguale a mille altri, in una fredda giornata invernale.
    Anastasia guidò il piccolo gruppo tra gli alberi, dando loro le spalle senza alcuna paura.
    Anna continuò a camminare, pensando a come quella di Anastasia fosse una fiducia davvero pericolosa e quando la voce dell'uomo che sembrava essere il capo arrivò alle sue orecchie, ancora una volta ebbe la conferma di essere decisamente troppo intelligente per un mondo mosso da istinti tanto primordiali.
    Su una sola cosa entrambe sembravano concordare: salire in macchina con un uomo morso, in condizioni già tanto gravi, era decisamente una pessima idea, che si trattasse di un ordine o di una richiesta poco importava.
    Si trasformerà mentre siamo in viaggio, qualcuno deve sparargli.
    Non posso morire, c'è un bambino che aspetta che io torni con il medicinale che lo salverà... non posso farmi ammazzare così.

    Le mani sottili si alzarono in segno di resa mentre il corpo girava il tanto necessario ad incontrare lo sguardo dell'uomo che la minacciava con un fucile. L'unica possibilità per sopravvivere era custodita nella piccola speranza di far ragionare quegli occhi cristallini, lo sapeva bene.
    Per favore, non... non vi causerò alcun problema, devo solo sopravvivere.

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    Per un solo attimo l'idea di prendere in ostaggio l'uomo che era ancora intento a sorreggere quello che era a tutti gli effetti il cadavere del suo collega, balenò piacevolmente cruenta nella mia mente.
    Avrei potuto farmi scudo con il suo corpo per raggiungere il portabagagli, al cui interno era nascosto il mitra che mi era stato gentilmente offerto come dono dagli abitanti di Nashville. Avrei sparato dritto tra gli occhi del biondo, proseguendo il mio viaggio verso Washington senza alcun problema.
    La sola cosa che mi frenava, era la presenza incombente dei vaganti che erano alle nostre calcagna. Sarei riuscita a muovermi tanto in fretta? Il rumore delle armi li avrebbe resi ancor più famelici, era un rischio non indifferente.
    Lentamente sollevai le mani, lasciando cadere a terra l'unica arma a mia disposizione.
    Si trasformerà mentre siamo in viaggio, qualcuno deve sparargli.
    Non posso morire, c'è un bambino che aspetta che io torni con il medicinale che lo salverà... non posso farmi ammazzare così.

    Forse esisteva un'alternativa, una soluzione che prevedeva un minor spargimento di sangue ed un maggior profitto per me. Lasciare la cartina, con su ben cerchiato il nome di Washington, sul sedile del passeggero... sì, quella era decisamente la miglior cosa che avessi mai fatto.
    Nemmeno una donna intelligente e sveglia come Anna sarebbe riuscita a nascondere in tempo quel pezzo di carta stropicciato e, chissà, forse qualcuno avrebbe notato il suo nervosismo, finendo così per chiedersi perché mai una donna tanto anonima avesse intenzione di arrivare a Washington.
    Avrebbero scoperto che era proprio lei, la scienziata che da mesi aspettavano in vano.
    Per favore, non... non vi causerò alcun problema, devo solo sopravvivere.
    Mi ritrovai a sospirare, chinando la testa in un chiaro segno di resa, prima di posare le chiavi della vecchia macchina sul cofano incrostato di polvere e di pioggia. Perché sprecare forze ed energie? Mi avrebbero condotto a Washington, anzi, mi avrebbero costretta ad andare proprio dove da mesi progettavo di arrivare.
    Quando mi lasciai cadere sul sedile del passeggero mi assicurai di nascondere con gesti impacciati la mappa tra le mie gambe, dove qualsiasi occhio sarebbe scivolato più che volentieri anche senza quell'incentivo.
     
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  5. Xavier.
     
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    Le parole della donna scivolano sulla coscienza di Xavier come olio purissimo.
    Non lo scalfiscono né destabilizzano in alcun modo l'intransigenza che gli pulsa nelle vene insieme ai fiotti di sangue.
    Ne ha viste tante, di donne così, e poi le ha osservate quasi tutte morire miseramente come rose d'inverno. I bambini ha praticamente smesso di contarli, ormai li cataloga solo come numeri su un fascicolo medico. Sono elementi deboli per quella nuova società carnivora, inadatti all'evoluzione, troppo fragili per sopravvivere.
    Non c'è niente nel discorso di quella sconosciuta che possa costituire per lui uno spiraglio di convincimento. Per quanto gli concerne non sprecherebbe neanche un sedativo per la tosse su un bambino vivo oggi ma certamente morto domani.
    “Nessuno gli sparerà finché è vivo. Su questo non si discute.”
    Sentenzia, lapidario e asciutto come l'ostinazione implacabile di cui si armerà per riportare a casa Marcus. Lei non può saperlo, ma dai test eseguiti su quell'uomo potrebbe dipendere la sopravvivenza dell'umanità stessa, non sarà di certo la sua opinione di civile a determinare le sorti del campione.
    “In macchina ho detto.”
    Risponde così ad ogni protesta.
    Cinismo contro umanità.
    Deterrente sugli insetti.
    Sale sulla terra.
    È così che morirà, l'umanità stessa, schiacciata dai soprusi di una prepotenza che sterminerà indistintamente forti e deboli, ma Xavier non riesce più a vederlo, troppo cieco nella sua ascesa alla risoluzione definitiva.
    Andrew afferra svelto le chiavi, sistema il corpo del moribondo sul sedile posteriore e poi si mette alla guida, dando gas al motore appena un attimo prima che gli sportelli si chiudano.
    Dal sedile posteriore, la canna del fucile continua a tenere ancora sotto tiro il bersaglio femminile. Troppo esperto ormai del contagio, Donovan sa benissimo che finché Marcus sarà in grado di respirare e bofonchiare qualcosa, allora non costituirà un pericolo.
    Lo stesso non può dire di lei, chiaramente.
    “Quando arriveremo a destinazione ti riprenderai la macchina e te ne andrai.”
    Vuole essere una rassicurazione, ma il tono truce che irrigidisce ogni parola non aiuta le intenzioni.
    È allora che succede.
    Un movimento repentino ma goffo che non sfugge agli occhi attenti del medico.
    Andrew guarda la strada, Marcus rotea gli occhi vacui, ma la sua di attenzione è completamente inchiodata alla figura della donna. Quel movimento non sarebbe potuto sfuggirgli neanche se avesse chiuso gli occhi.
    “A-ah.”
    È svelto nello sporgere il braccio verso di lei, il pudore non lo tange e la discrezione sembra aver perso ogni appiglio su di lui. La mano si insinua impietosa e severa tra le gambe femminili e fin troppo sensuali della sconosciuta, ne schiva il calore tentatore e non si lascia scalfire dalla morbidezza che in un'altra esistenza avrebbe annientato ogni sua sinapsi.
    Non è una donna, quella che sta toccando, ma solo una possibile mina inesplosa da marginare e controllare.
    Le dita si chiudono sulla carta di quella che sembra a tutti gli effetti una cartina. Ancor meglio, una mappa. E non appena conducono il tracciato di fronte agli occhi acquosi dell'uomo, una fitta elettrica al centro esatto del cervello lo fa scattare in allerta.
    “Che cos'è questa?”
    Una domanda col doppio fondo, ovviamente.
    Washington.
    La scritta perfettamente evidenziata riesce quasi ad accecarlo, e d'un tratto ogni certezza comincia a tremare, quasi scossa da un terremoto percepibile solo da lui.
    La mano sinistra lascia il fucile e scatta verso di lei, si stringe appena sotto il mento morbido, sulla mascella definita e vellutata che contrasta nettamente con la rudezza di quella sua presa.
    Vuole la sua attenzione, vuole leggerle negli occhi la verità, così la costringe a voltare il viso verso di lei in quella morsa che non conosce delicatezza.
    “Chi sei tu? Parla.”
    Non c'è ferocia nella sua voce, ma la sfumatura più roca e spigolosa lascia aperto uno spiraglio sul tormento interiore che ha preso ad infuriargli nel petto.
     
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  6. Arkadiya-
     
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    Essere una scienziata aveva portato Anna a credere nella verità come unica speranza di sopravvivenza. La scienza non mentiva, era un mondo pieno di regole che era impossibile aggirare per raggiungere i propri scopi, chi meglio di lei poteva saperlo?
    Eppure le circostanze l'avevano portata ad abbattere uno di quei pilastri su cui la sua vita aveva fatto affidamento in passato. Aveva detto così tante menzogne da quando i suoi piedi avevano finito con il toccare il terreno americano... un numero infinito di dettagli di una vita che non era mai stata sua, ma che l'aveva protetta da una morte inutile e dannosa per l'intera umanità.
    A stento era ormai capace di distinguere la realtà dalla finzione.
    L'affetto per quel gruppo di persone che l'avevano accolta e rimessa in piedi... quella sensazione di calore, quel concetto astratto di comunità e famiglia, appartenevano ad Anastasia quanto a lei.
    Per la prima volta era arrossita, notando lo sguardo di un uomo posare su di lei. Aveva ballato intorno ad un fuoco scoppiettante, guidata solo dal suono ritmo proveniente da un bidone della spazzatura usato per l'occorrenza come tamburo. Con la mente annebbiata dall'alcool aveva permesso che mani calde, rese ruvide dal troppo lavoro, scivolassero sulla sua pelle, cancellando da essa il ricordo tattile delle dita affusolate ed eleganti di suo marito. Come un'amazzone aveva corso su un cavallo nel bel mezzo della foresta, quando la benzina era ormai diventata un bene troppo prezioso.
    Anastasia aveva trovato in quella comunità la sua unica ragione di vita, mentre Anna perdeva lentamente la presa dal suo scopo principale. Solo i sensi di colpa la spingevano ancora una volta a cercare una via di fuga da quella realtà ormai tanto familiare... eppure il solo pensiero di non poter fare ritorno alla sua tenda, bastò a far chiudere la gola in una morsa dolorosa.
    Con gli occhi lucidi rimase immobile sul sedile dell'auto, tenendo ostinatamente lo sguardo davanti a sé. A spaventarla più dell'arma puntata contro la sua testa, era la strada che veloce scorreva sotto le ruote, portandola lontana dalla possibilità di riuscire a rivedere per un'ultima volta i volti di tutte quelle persone che aveva inconsciamente iniziato ad amare. Si ritrovò spaventata dal solo pensiero di temere più la solitudine, della morte. Come avrebbe potuto essere d'aiuto al mondo, se l'egoismo la portava a mettere davanti alla propria esistenza quella di persone incapaci di dare un vero contributo alla ricerca di una cura?
    Così presa dai propri pensieri, trasalì al tocco indiscreto della mano tra le proprie cosce. Per un solo secondo scordò ogni altra preoccupazione, mentre i muscoli cercavano di porre una misera resistenza a quell'intrusione... ma a ben poco servirono i suoi sforzi, gli occhi cristallini non poterono fare altro che seguire il percorso della mappa consumata. L'avrebbero scoperta, facendo così saltare ogni sua bugia.
    No, no, no...
    Quando gli occhi umidi si scontrarono con lo sguardo gelido dell'uomo seduto sul sedile posteriore, la bocca sembrò inaridirsi a tal punto da renderle impossibile parlare. Avrebbe voluto scostare la testa per sfuggire da quei pezzi di cielo in tempesta che minacciavano di farla crollare come un castello di carte, ma la sua mano stringeva forte la mascella, impedendole qualsiasi movimento.
    Un gemito strozzato sfuggì dalle labbra carnose, unico indizio del terrore che dentro il petto infuriava implacabile.
    Mi chiamo Anastasia Udinov. Io... io non so nulla di quella mappa.
    Deve essere del vecchio proprietario della macchina.


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    Fin troppo facile.
    Gli uomini sapevano essere alle volte così prevedibili, da risultare sorprendenti nella propria idiozia. Perciò mi ritrovai a detestare l'uomo che ancora rimaneva invisibile, nascosto alla visuale dall'inclinazione rigida del collo, come se il fatto che seguisse passo dopo passo il percorso scritto per lui dalle mie bugie fosse una colpa dalla quale doversi redimere.
    Una parte di me desiderò afferrare quella mano che per pochi secondi aveva toccato con prepotenza la carne morbida delle mie cosce, solo per poterne rompere qualche dito. Desiderai mettere alla prova quella mente tanto grezza per vedere fino a che punto fosse possibile plasmarla a mio piacimento, spingermi fino al limite dell'assurdità per farmi beffa di quel volto dall'aria autoritaria.
    Avrei potuto rivelare, con un sussurro misurato, di essere una spia russa. Probabilmente avrebbe preso la verità come una pessima bugia, mentre avrebbe comunque continuato a credere ad ogni menzogna propinata con noncuranza.
    Chi sei tu?
    Informazione riservata. Nessuno aveva mai sentito pronunciare il nome di Arkadiya Maximova, non sarebbe certo stato un bel faccino a cambiare le cose.
    Mi chiamo Anastasia Udinov. Io... io non so nulla di quella mappa.
    Deve essere del vecchio proprietario della macchina.

    Lasciai tremare pericolosamente la voce, rendendo quell'unica frase un penoso tentativo di mascherare la menzogna successiva a quella già pronunciata a quegli sconosciuti che avevano approfittato di una donna sola e spaventata, macchiata dall'unica colpa di essere corsa in loro soccorso.
    Perché avrei dovuto sentirmi in colpa? Meritavano ben di peggio di una donna spaventata e piagnucolante. Meritavano una morte dolorosa e lenta, ma a separarli da quell'ultima tappa rimaneva la loro momentanea utilità.
    Così lasciai al capo del disastroso trio modo di leggere dentro i miei occhi la paura, di nutrirsi di quell'incertezza mentre ancora le sue dita rimanevano dolorosamente serrate sulla mia mascella.
    Che arrivasse alla conclusione più ovvia, non avevo alcuna fretta di schiudere le labbra per difendermi dall'attacco che da lì a poco sarebbe piovuto su Anna.
    Per favore... mi fai male. Non uccidermi, ti prego. Io, io sono solo una donna che cerca di tornare dalla propria famiglia.
    Se c'era qualcosa di positivo da cercare nell'uomo che mi fronteggiava, l'avrei certamente trovata nella sua fredda assenza di scrupoli. Era chiaro che non avrebbe prestato alcuna attenzione alle preghiere di Anna, né a quelle di Anastasia... il che, lo rendeva una potenziale minaccia.
    Mi avrebbe sparato? Un colpo di pistola tra gli occhi, avrebbe di certo rappresentato un contrattempo non da poco.
     
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